LA SUPERVISIONE NELLA CONSULENZA FAMILIARE

DIVENIRE CONSULENTI FAMILIARI SUPERVISORI A.I.C.C.e F!
Riflessioni sul tema di Rita Roberto

Il percorso professionale del Consulente Familiare, oltre alla formazione di base e a quella permanente richiede anche sostegno e accompagnamento, consolidamento dell’identità, sviluppo di competenze rispetto all’operatività, il tutto non solo per sé, ma anche specialmente per migliorare la qualità professionale erogata. Durante il nostro percorso professionale la supervisione rappresenta una fase molto importante e necessaria in cui ci si verifica come professionisti
DOMANDE: cosa intendiamo per Supervisione quando pensiamo ai Consulenti familiari?
Chi la deve e può svolgere?
Qual è il modello teorico di riferimento? Ne esiste già una traccia o va interamente costruito?
Questa mia riflessione a 360° nasce dalla costatazione che in Italia le professioni di aiuto sono spesso in gerarchia o in conflitto tra di loro,e si fonda sulle considerazioni che in passato sono state fatte, su questa rivista, dai “Fondatori” di questo cammino e dai primi Soci Aiccef che hanno tracciato la strada di questa professione. Tra le tante ho scelto di riportarvene due: l’articolo pubblicato sull’allora Notiziario Aiccef n.1-2 del 1980 “A proposito di supervisione”, elaborato dall’equipe del consultorio di Torino: Sofia Dardanello, Elena Cappelli Von Bergher, Teresa Midali, Mirella Fasano, Laura Recrosio e Carla Aragno, e quello di Giovanna Bartholini pubblicata sul n.1 del 1998. La riflessione del primo intervento fu guidata dal supervisore di Gruppo dott. Fulcheri, specialista in psichiatria e analista della Società Italiana di Psicologia Individuale.
“Cos’è la supervisione? La supervisione, termine sorto con la psicanalisi come sinonimo di controllo nell’analisi, è un elemento fondamentale della formazione di coloro che si dedicheranno alla professione di analista, e si colloca ad uno stadio avanzato dell’analisi didattica, a sua volta successiva ad un training analitico personale (equivalente per i futuri analisti dell’analisi terapeutica). Cioè, in ambito psicanalitico e, più generalmente, analitico (la supervisione infatti è richiesta sia dalle scuole di indirizzo psicoanalitico freudiano, sia da quelle psicoanalitiche di indirizzo adleriano, junghiano, lacaniano ecc..), il termine supervisore si riferisce ad una tappa ben precisa, collocata temporalmente e specificata nelle modalità e nei contenuti, del processo di formazione degli analisti.
Essa ha un duplice aspetto: da un lato l’analista provetto (didatta) guida quello in via di formazione nella comprensione e conduzione della terapia di un paziente (supervisione dell’analisi del paziente), dall’altro lo aiuta a prendere coscienza delle dinamiche personali che possono interferire nel rapporto con il paziente stesso (supervisione del controtransfert o controatteggiamento). Questo secondo aspetto è reso possibile dal fatto che l’analista in formazione didattica si è già sottoposto ad un’analisi personale, durante la quale le sue dinamiche profonde hanno avuto modo di emergere.
Da quanto detto, è evidente che la supervisione originariamente intesa trova il suo senso e la sua giustificazione nel contesto formativo degli analisti. Ma ai Consulenti familiari, che non sono e non devono essere analisti, è richiesto un altro tipo di formazione, di didattica personale, che non necessariamente consiste nell’analisi personale.
Quindi sottoporre i consulenti ad una supervisione individuale analitica, che tenga cioè conto delle dinamiche profonde che alimentano il controtransfert, senza un’analisi alle spalle, può travisarne il significato.
Se invece si considera la supervisione per consulenti familiari come “controllo” sul modo di conduzione dei casi, senza esaminare le dinamiche implicate nel processo trans ferale e controtransferale, allora ci sembra più corretto specificare e delimitare il termine e al limite sostituirlo con quello più pertinente di “controllo e/o discussione sui casi”. Tale discussione può svolgersi sia a livello individuale sia in gruppo; nel primo caso è sufficiente per portarla avanti un consulente di provata esperienza, mentre nel secondo è indispensabile che il conduttore del gruppo di discussione abbia una pratica collaudata nel settore, sia cioè in grado di gestire le complesse dinamiche che determinano i modi di agire, reagire, sentire, in una parola di esistere del gruppo ….. omissis …
Tenendo presenti le considerazioni precedenti, e in base ad una lunga esperienza di lavoro in consultorio, riteniamo che il metodo di controllo e di discussione individuale solo raramente sia proficuo ai fini di una consapevole valutazione di sé, e possa inoltre generare nel consulente meno esperto sentimenti di insicurezza, per eccessiva dipendenza dall’esperto, o all’opposto di onnipotenza terapeutica, e per mancanza di termini di confronto, e per un fenomeno di suggestione, quasi che la presenza del supervisore potesse, di per se stessa, magicamente evitare gli errori, o meglio assicurare la riparazione, offrendo garanzia di successo in ogni caso.
A conclusione di queste brevi note, sintetizziamo alcuni punti chiave:
1. Consulenti familiari e analisti hanno ruoli diversi, pertanto necessitano di formazioni differenti.
2. La supervisione, specifica della formazione degli analisti, può risultare uno strumento metodologicamente scorretto e poco fruibile per altri operatori, per i motivi già detti;
3. Anche per il Consulente familiare, come per qualunque operatore sociale, sarebbe altamente opportuno una verifica continua del proprio operato: uno strumento adeguato a tale scopo pare essere la discussione dei casi in gruppo; nel caso si preferisca la discussione a livello individuale, è della massima importanza non trasformarla in una supervisione che può risultare dannosa per i consulenti sia, di riflesso, per gli utenti.
La nostra fondatrice Giovanna Bartholini riprende il tema nell’articolo ”La supervisione specifica per il Consulente“ a pag 3:del numero 1 del Consulente Familiare del 1998
«…Mi preme notare che, se è vero che il Consulente, in queste riunioni, acquista interpretazioni preziose per il suo lavoro, è altrettanto vero che dal punto di vista operativo ne esce spesso con molta confusione in testa, quando non anche con un senso di frustrazione o addirittura di inutilità. Infatti quando il Consulente – primo operatore del Consultorio e colonna portante di tutta la struttura- espone il caso, si verifica un duplice equivoco: cioè, il Consulente si vive nella posizione di chi debba chiedere lumi sul proprio operato, mentre gli altri componenti dell’Equipe non consulenti si vivono come coloro che questi lumi possono fornire. E volendo aggravare questa situazione, diremo che-anche senza volerlo- tutti vivono la riunione come una udienza di tribunale, in cui ci sono giudici e giudicati. Naturalmente niente di tutto questo avviene a livello cosciente, ma proprio per questo diventa più pericoloso ….Omissis… La cosa che però mi preme maggiormente sottolineare è l’indispensabilità di una «Supervisione Operativa» (non saprei come altro chiamarla), intendendo con questa definizione una supervisione – tenendo conto del vissuto del Consulente- sappia anche aiutarlo nella conduzione del caso. Elenco qui di seguito alcuni interrogativi che un Consulente può porsi in varie situazioni:
· “è il caso di fare consulenza anche al coniuge che all’inizio non si presenta? E come contattarlo?”
· “come agisco, su che cosa e a quale livello se in una difficoltà di coppia uno dei coniugi si rifiuta di presentarsi?”
· “come mi comporto quando emerge che in una coppia si è verificato un rapporto extraconiugale da parte di uno dei due membri della coppia?”
· “e quando si scopre qualche scappatella omosessuale di uno dei due?”
· “sono stato capace di espletare nel primo colloquio alcuni compiti indispensabili per il procedere del caso?”
· “perché questo caso mi dà l’impressione di non avviarsi verso una soluzione? Dove ho mancato?”
· “che posso fare quando in una famiglia vi sono alcuni membri variamente disturbati( es: droga, alcool o comportamenti asociali?)”
· “perché dopo tanti mesi di lavoro non vi sono miglioramenti nella relazione di coppia o in quella tra genitori e figli?”
· “ è il caso di far intervenire lo psicologo se il comportamento di un minore è problematico?”
Non mi stancherò mai di ripetere che la Supervisione per queste perplessità deve essere fatta solo da un altro Consulente, esperto in Supervisione, che conosca molto bene la metodologia specifica della consulenza,… nessun altro professionista può sostituirsi in questo lavoro. Ne concludo che per il Consulente sarebbe auspicabile poter fruire di ambedue i tipi di Supervisione. E addirittura, che -dovendo per circostanze pressanti scegliere fra i due- è meglio usufruire della Supervisione Operativa piuttosto che dell’altra. Con questo tipo di aiuto il Consulente si sentirà sempre sostenuto, capito, incoraggiato e amerà di più il suo lavoro, con evidente beneficio per il suo Cliente, per lui stesso e per l’impostazione della sua vita personale.
QUAL È LO SCOPO DELLA SUPERVISIONE PER I CONSULENTI FAMILIARI?
Lo scopo della supervisione è il benessere sia dell’Utente che del Consulente quando quest’ultimo incontra difficoltà nella relazione consultoriale e nella gestione del caso. Il Supervisore dà sostegno al Consulente Familiare partendo dall’accettazione completa del Consulente come persona, così come il Conduttore accetta incondizionatamente l’Allievo, durante il corso di formazione, e il Consulente accoglie l’Utente in consulenza familiare. La metodologia della consulenza familiare, fatta di empatia, non giudizio, riformulazione ecc.. è sempre la stessa .
La circolarità della metodologia della consulenza familiare
La formazione in consulenza familiare, l’esercizio della professione e la supervisione ci immettono in un percorso circolare virtuoso, ascendente che prevede una interazione continua tra le parti in gioco. Entriamo in questo percorso come allievi della scuola che, essendo basata prevalentemente sull’esperienza, ci vede coinvolti in prima persona nel cambiamento. Questa modalità mette in gioco anche il Conduttore che attraverso le nostre esperienze di vita è costretto a confrontarsi con le proprie e a crescere. Stessa cosa avviene tra l’Utente e il Consulente e tra il Consulente e il Supervisore. La base strutturale è identica con la sola differenza che con l’esperienza riusciamo ogni volta a percorrere il giro con maggior leggerezza, consapevolezza e ad “essere” consulenti familiari.

SUPERVISIONE E CONSULENZA FAMILIARE
La supervisione nell’area della consulenza familiare non è da intendersi, quindi, come "controllo" sui Consulenti e sul loro stato di salute o funzionalità, non è neanche psicoterapia di gruppo, ma un percorso di coscientizzazione costruttiva dei problemi presenti sia in ambito relazionale con l’utente che con l’organizzazione presso cui si è inseriti. Una buona supervisione prevede, inoltre, una verifica realistica della crescita professionale del Consulente Familiare. La supervisione così intesa promuove il consolidamento della cultura professionale dei Consulenti Familiari e rafforza un approccio all’utenza più significativo e più condiviso da tutti; pertanto essa tende a promuovere i consulenti entro un certo grado di autonomia al fine sia di mantenere un adeguato livello motivazionale e metodologico che di prevenire fenomeni di burn-out.
In quest’ottica ha senso pensare a supervisioni operative "monoprofessionali" (cioè aperte ad un solo tipo di professionalità) sia individuali che di gruppo quando l’obiettivo è il mantenimento motivazionale legato ad un ruolo e alla discussione dei casi svolto con la metodologia della consulenza familiare. Così come si può pensare a supervisioni "pluriprofessionali" (cioè previste per più professionalità) quando l’obiettivo è l’analisi organizzativa o le modalità di funzionamento di un’equipe multidisciplinare. Non di rado in molti Consultori sono già presenti entrambe.
Nel caso dei Consulenti Familiari la supervisione -come previsto già da tempo dai fondatori dell’Aiccef- è da prevedersi monoprofessionale e ha anche lo scopo di mettere in sinergia l’obiettivo della formazione, di base e permanente, con quello professionale.
A tale scopo è necessario formare Consulenti Supervisori che conoscano, padroneggino e tutelino la specifica mission e metodologia professionale della Consulenza familiare.
In quest’ottica si ritiene non produttivo avvalersi, come Supervisore, di un professionista diverso dal gruppo supervisionato, ma affidare questo ruolo a Consulenti Familiari di comprovata esperienza professionale e debitamente formati allo scopo.
IL GRUPPO DI STUDIO AICCEF SULLA SUPERVISIONE
Per questi motivi il Consiglio Direttivo ha istituito Gruppo di Studio, costituito dal Presidente e Vicepresidente Aiccef e dalla rappresentanza di esperti in supervisione delle quattro Scuole di formazione accreditate, per dare vita ad un percorso nuovo e codificato sulla supervisione, che formi i Consulenti Familiari a questa importante funzione . Di seguito vi riporto i risultati di questo studio e il percorso elaborato.
SUPERVISIONE
- Gli assi portanti della Supervisione:
· Il primo riguarda l’attribuzione di fiducia. È necessario favorire una relazione contrattuale di fiducia tra Ente/Istituzione ( Consultorio, Centro famiglia, studio privato ecc..), Consulente e Supervisore per far emergere una domanda mirata e intenzionale legata alla specificità del contesto e della situazione.
· Il secondo pone l’accento sulla specificità relazionale socio educativa della professione del Consulente Familiare. Gli interventi di supervisione devono rispettare la peculiarità del punto di vista consulenziale, declinando l’intervento in modo tale che diventi effettivo sostegno alla professionalità e all’identità lavorativa del consulente
· Il terzo attiene alla necessità di connettere tra loro, nell’attività di supervisione, gli aspetti di elaborazione dell’esperienza e la dimensione organizzativa del servizio.
- La metodologia del Consulente Supervisore.
Il Consulente Supervisore aiuta il Consulente a porsi domande e a renderle esplicite attraverso la metodologia dell’autoascolto e dell’ascolto:
· che cosa penso del problema che il cliente mi sta portando?
· Che cosa penso della modalità con cui lo vive?
· Che cosa sento emotivamente al riguardo?
· Che cosa provo come sensazione fisica?
· Quali i miei punti di forza e quali di debolezza?
Inoltre attraverso i dati che emergono dalla lettura delle schede dei casi il Supervisore fa riflettere il Consulente su eventuali comportamenti sbagliati:
· se c’è troppo coinvolgimento nella conduzione del caso;
· se c’è troppo poco coinvolgimento da parte del consulente
· se c’è una maggiore attenzione all’uno o all’altro coniuge nella coppia;
· se la registrazione si dilunga troppo senza fare emergere gli elementi base, ecc…
Infine il Supervisore aiuta il Consulente ad esplorare il proprio bisogno rispetto alla difficoltà incontrata con l’utente e ad individuare i punti di forza, le modalità e tecniche diverse che lo possono sostenere nel riprendere la relazione consultoriale.
- Come si svolge la supervisione
La supervisione può essere sia individuale che di gruppo, come di prassi nelle equipe consultoriali o dei centri di consulenza. Gli incontri di gruppo dovrebbero durare dalle due alle tre ore mentre quelli individuali circa un’ora. La supervisione di gruppo è preferibile, dove è possibile, in quanto si acquista varietà di esperienza, sia del Supervisore che dei Colleghi, e di confronto.
- Con quale cadenza si svolgono gli incontri di supervisione
E’ bene che la supervisione sia regolata da un contratto e consenso informato (modello Aiccef in preparazione), come avviene per la consulenza. Il contratto prevederà una periodicità predefinita e anche la durata e il compenso, ove previsto. Nulla vieta che il Consulente, o l’Equipe consultoriale possa chiedere al Supervisore, compatibilmente con la sua disponibilità, un incontro ulteriore se se ne sente particolare bisogno.

A completamento di questo ampia riflessione sulla supervisione, pubblichiamo la bibliografia di riferimento:
La supervisione nelle professioni educative, Potenzialità e risorse, N.Belardi e G. Wallnofer, Ed Erikson
Conoscere e condurre i gruppi di lavoro, G. Braidi e G.Cavicchioli, Ed Franco Angeli
Counseling, trasformare i problemi in soluzioni, L.Marchino e M. Mizrahil Ed. Frassinelli
Parlami, ti ascolto di K. E D. Geldard, ed. Erikson
Giuda al Counseling di S. Meier e S. Davis, Ed Franco Angeli
L’arte del counselling di Rollo May, ed. Astrolabio
La terapia centrata sul rapporto Esperienze di consulenza, di formazione, di vita Giovanna Bartholini Grafismi Boccassi
Io e te; tu ed IO ma quando finalmente NOI? Giovanna Bartholini Grafismi Boccassi
I gruppi d’incontro, C:R.Rogers, Ed Astrolabio
Da persona a persona di Carl Rogers
Principi di terapia di gruppo, E. Berne, Ed Astrolabio
Gruppi, Organizzazione e conduzione per lo sviluppo, J.Benson
Il linguaggio del comportamento, A. Scheflen
Principe o Ranocchio, E. Baldo, Ed. Paoline
Non ce la faccio più, E. Baldo, Ed Paoline
Ho paura, cosa faccio?,E.Baldo Ed. Paoline
L’ascolto costruttivo; R.Rossi EDB
Piccoli genitori grandi figli;R.Rossi EDB
Il sentiero dell’amore; R.Rossi Edizioni dell’Immacolata
Comunicazione, reti sociali, prevenzione del disagio; R.Rossi edizioni Barghigiani

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